La liberazione di Roma nel ricordo di Alberta
La liberazione di Roma nel ricordo di Alberta
Roma, 5 giugno 1944
di Alberta Levi Temin
Desiderate sapere le
mie emozioni provate il 5 giugno 1944 a Roma?
Peccato non averle scritte quella sera stessa, nella
camera da letto delle maestre della Pro Infanzia
Romana, Lungotevere Sanzio n. 11. Condividevo
la camera con la mia carissima cugina Luciana Bassi,
oggi ricordata come Luciana Sullam, cognome
assunto nell’autunno del 1945, dopo il matrimonio
con Renzo. Eravamo le insegnanti: due in un'
unica aula che accoglieva cinque classi elementari.
Non ricordo esattamente quanti erano gli
alunni, certamente più di 40, forse 50. Fra gli
alunni della V elementare c'era mio cugino Roby
Bassi, fratello di Luciana. Aveva 12 anni, aveva già
frequentato a Venezia la II ginnasio, ma per
poter essere accolto nell'istituto fu iscritto alla
V elementare. Naturalmente eravamo tutti e tre
con carte di identità false, ma la direttrice
sapeva la situazione, anche se non aveva voluto
conoscere i nostri veri nomi, nel timore di poterli
rivelare sotto tortura. Nell'Istituto c'erano
altre persone nascoste, ebree e non, perciò le
insegnanti dovevano essere persone che sicuramente
non avrebbero fatto la spia; poi, data l'anomala
situazione, non era neppure necessario dare
loro uno stipendio.
Sono trascorsi 66 anni,
io allora ne avevo 24. La mia mente oggi è ancora
lucida e le molte emozioni provate all'arrivo degli
Alleati a Roma, non si sono cancellate. Quel 4
giugno alle ore 11,30, come ogni mattina,
sospendevamo le lezioni e accompagnavamo i ragazzi
nel cortile per l'ora all'aria aperta, per giocare
in libertà. Si udivano in lontananza rumori di
aerei, ma i palazzi che circondavano il nostro
cortile non ci permettevano un ampio spazio di
veduta. Ad un tratto da una finestra del II
piano si affacciò la direttrice che, a
gran voce, ci intimava di rientrare immediatamente
in casa. Facemmo appena in tempo: passò un aeroplano
bassissimo e due spezzoni di mitraglia caddero nel
cortile... La “Mammina”, così si faceva chiamare
la direttrice, aveva osservato sul Lungotevere
Sanzio una fila di carri armati tedeschi che
lentamente si dirigevano verso il Nord. Ad un
tratto, al rumore lontano degli aerei che volavano a
bassa quota, i soldati fermarono i loro mezzi,
scesero e con destrezza vi si nascosero sotto. La
Mammina comprese da quella manovra il pericolo
incombente e ci salvò.
La giornata fu lunga,
interminabile. Capivamo che forse la libertà era in
arrivo, ma non osavamo neppure sperare. Non poter
avere notizie dei nostri cari era insopportabile.
Luciana ed io pensammo che forse la cosa più saggia
era far cantare i ragazzi , per non ascoltare i
rumori che venivano dalla strada, per cercare di
distrarci.
Fu solo a notte
inoltrata che le truppe alleate giunsero sotto le
nostre finestre. Sentimmo Luciana ed io dapprima un
brusio insolito, poi qualcuno che, quasi
timidamente, batteva le mani. Ma l’istituto era
silenzioso, Mammina chiusa nel suo appartamento, i
bambini dormivano nelle loro camerate. Con molta
cautela aprimmo la finestra, cosa proibita durante
le ore notturne perché vigeva il coprifuoco: di
fronte avevamo la porta d’ingresso della scuola
elementare ebraica, sormontata dalla scritta in
ebraico e in italiano:” Solo il giusto entrerà”.
Quante volte l’abbiamo letta, con una indicibile
commozione interna. Ma quella notte non ci
soffermammo, spingemmo lo sguardo a sinistra sul
Lungotevere e, pure nel buio, comprendemmo che quei
carri armati che avanzavano erano diversi da quelli
che conoscevamo, questi ci portavano la libertà. Il
sonno se n’era andato, avremmo voluto condividere le
nostre emozioni , prima di tutti con Roby, ma la
casa dormiva e non osammo aprire la porta della
nostra stanza. Il mio primo pensiero fu per la mia
Mamma. Era mancata esattamente due mesi prima, di
malattia, in una camera singola piena di sole
dell’Ospedale dell’Addolorata, con attorno il
marito, le tre figlie, la sorella Lina; curata come
meglio non si poteva, in un letto con le lenzuola
pulite….
Il 16 di ottobre era
stata arrestata in Via Flaminia 21 e la
sorella Alba la salvò spingendola nel gruppo dei
cattolici di matrimonio misto, a Roma nessuno la
conosceva. Ben altra fine le sarebbe stata
riservata; questo pensiero mi sostenne quel giorno,
ma la notte fra il 4 e il 5 giugno potei dare sfogo
alle mie lacrime represse: Mamma non era con me per
assaporare insieme la libertà riconquistata. La
vita per me sarebbe ricominciata, via le carte
false, via le menzogne sostenute per tanto, troppo
tempo, via la PAURA con tutte le lettere
maiuscole. Con dignità avrei finalmente detto a
tutti che il mio nome era Alberta Levi ed ero
ebrea.
In: "1939-1943 Dalla vita quotidiana alla Storia", pubblicazione realizzata con il contributo dell’Assessorato alle Politiche della Scuola della Provincia di Roma, a cura di L. Di Ruscio, R. Gravina, E. Modigliani, S. Terracina, Roma, 2010, pp. 43-44.
venerdì 2 settembre 2016
